Dispersione del patrimonio

Le intense ricerche archeologiche condotte alla fine del secolo nel territorio falisco furono determinate,oltre che da pressanti esigenze di carattere scientifico, legate alla nascita nel 1889 del Museo di Villa Giulia e alla elaborazione della Carta Archeologica d’Italia, anche da interessi di imprenditori privati, che investivano negli scavi il propriuo patrimonio allo scopo di recuperare oggetti di valore da rivendere sul mercato antiquario.

Non sfuggirono all’epoca a questa logica di mercato nemmeno i ricchi corredi funerari scavati tra il 1885 e il 1894 nel territorio di Corchiano. Oggetti provenienti dalla collezione privata Hoffman furono acquistati dal Museo Archeologico di Firenze, mentre un Kantharos a figure rosse, comprato nel 1893 da un certo Dr. Hartwing e poi passato di mano, pervenne a San Simeon nel 1929 tramite un’asta di Sutheby.

Non rimane più traccia delle splendide oreficerie rinvenute nel 1886 in una tomba a camera del sepolcreto di S. Antonio nella proprietà Marcucci , reperti di tale rilievo da suscitare l’interesse dello Helbig, che le avrebbe volute per il museo di Berlino. Il processo di dispersione avveniva , dunque, attraverso canali pienamente legittimi , in quanto risale solo al 1909 la legislazione che sancisce la proprietà dello Stato per tutti i beni archeologici riportati in luce attraverso attività di scavo.